domenica 28 agosto 2016

RYANAIR: LA TASSA CANCELLATA, 180 MILIONI PAGA IL GOVERNO


Ryanair vara un grande piano di sviluppo e crescita in Italia, ma si tratta davvero di investimenti “gratuiti” per le casse pubbliche del nostro Paese? La  decisione del governo Renzi di annullare l’incremento di € 2.50 della tassa municipale dal prossimo 1 settembre  e la modifica delle linee guida aeroportuali del Ministro Graziano Delrio sono certamente le due scelte che  hanno permesso di accelerare  i piani  di sviluppo di Ryanair per il mercato italiano nel 2017: ma hanno di fatto  spostato i costi dal mercato (i passeggeri)  allo Stato. La cancellazione dell’aumento della tassa, che torna a 6,5 euro a passeggero, sarà infatti coperta nella legge di Stabilità e costerà 180 milioni su base annua. Non solo: il previsto incremento di passeggeri derivante dall’apertura di 44 nuove rotte nazionali,  avrà un costo minimo di comarketing di 15 milioni annui  per le gestioni (pubbliche) degli aeroporti minori. Gli investimenti di Ryanair costeranno dunque alla mano pubblica 195 milioni l’anno.Dopo mezzo secolo di sovvenzioni ad Alitalia,  non si vorrebbe ora che il governo ricominciasse con nuovi surrettizi aiuti a  Ryanair. La compagnia irlandese  ha sempre fatto profitti e servizi di qualità sul mercato nazionale senza bisogno dell’intervento pubblico. Ora  non sembra proprio il caso di usare la foglia di fico  della crescita del turismo italiano per giustificare prassi anticompetitive e discriminatorie rispetto alle altre compagnie aeree che operano sul mercato nazionale.

Dario Balotta   
Presidente Osservatorio Nazionale Liberalizzazioni 
Infrastrutture e Trasporti

giovedì 11 agosto 2016

San Gottardo, gli svizzeri ci hanno dato l’ennesima lezione

La Svizzera inaugura oggi il più lungo tunnel ferroviario del mondo, il tunnel del Gottardo: 57 chilometri di galleria sotto le Alpi, destinati a incrementare e a rendere più fluido il traffico tra il Nord e il Sud Europa. Alla cerimonia di inaugurazione sono presenti, oltre alle autorità svizzere, anche il Presidente del Consiglio Matteo Renzi, il Presidente francese Francois Hollande e la Cancelliera tedesca Angela Merkel.
Per completare l’opera ingegneristica, che diventerà operativa in dicembre, sono stati necessari 17 anni di lavori e 12,2 miliardi di franchi svizzeri, pari a 11 miliardi di euro. Obiettivo principale dell’opera è rafforzare l’asse Nord-Sud Europa privilegiando il traffico ferroviario rispetto a quello stradale, nell’ambito del corridoio Reno-Alpi che collega Rotterdam (sul Mare del Nord) e ilNord Italia. Da questa opera ci vengono alcune importanti lezioni.
Primo. Il traforo ferroviario del Gottardo viene realizzato sull’asse ditraffico infraeuropeo maggiore e dove è previsto un nuovo incremento dei trasporti Nord-Sud Europa. L’Italia invece insiste con il traforo del Frejus e con quello del terzo valico Milano-Genova, dove le attuali linee ferroviarie sono tutt’altro che sature e i traffici (anche quelli passeggeri) sono in declino.
Secondo. La decisione di realizzare il traforo del Gottardo è stata presa a seguito di un referendum che ha coinvolto tutta la popolazione: una lezione di democrazia sul meccanismo politico di scelta per una grande opera.
Terzo. Il traforo del Gottardo rappresenta una scelta trasportisticasostenibile che guarda al futuro dell’ambiente. Inoltre è in linea con le indicazioni del “Libro bianco europeo dei trasporti”, disatteso da molti paesi tra cui l’Italia.
Quarto. Per finanziare l’opera è stato adottato un meccanismo responsabilizzante e innovativo (65% con un pedaggio/tassa sui Tir, 25% con l’ accisa sulla benzina e 10% Iva). Noi siamo fermi all’utilizzo del più congeniale debito pubblico o, peggio, ai “project financing” farlocchi, che sono una garanzia pubblica mascherata.
Quinto. Gli svizzeri ci hanno dato una lezione di bon tonNon solo hanno pagato l’infrastruttura in territorio svizzero, ma poiché sul versante italiano, allo sbocco del Gottardo, la nostra rete di collegamento con NovaraBusto Arsizio e Milano non è stata nel frattempo potenziata, sono piovuti 120 milioni di euro per adeguare le sagome dei treni, aumentarne il peso a 2000 tonnellate e la lunghezza a 750 metri. Insomma, un pezzo di rete italiana è stata migliorata con soldi svizzeri.
Con il traforo del S.Gottardo si potrebbe, finalmente, mettere la parola fine al declino del trasporto ferroviario merci nazionale, che ha alti costi di gestione, tempi di resa e qualità del servizio pessimi. Senza alcun dubbio, il traforo dev’essere uno stimolo per risollevare una volta per tutte la quota di trasporto merci su ferro, attestata su quel deludente 7%, che ci relega a fanalino di coda europeo tra le grandi nazioni.

Infrastrutture, dal Cipe i soliti investimenti a casaccio

Le “valanghe” di risorse deliberate dal Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica), 40 miliardi, hanno sempre caratteristiche, tali da rendere i pacchetti di spesa, approvati da quella foglia di fico governativa dei bicchieri “mezzi pieni” che si chiama Cipe. Sono deliberazioni d’urgenza, per affrontare i temi più scottanti sul tappeto, che vengono trattati con interventi spot e non con un ben precisato piano di priorità d’intervento. I meccanismi di spesa, sempre senza analisi costi-benefici, restano quelli di sempre che hanno reso inefficace, opaca e spesso improduttiva la spesa pubblica, in particolare per le grandi opere.
Dentro tali grandi pacchetti, oggi serviva dare un segnale e c’è stato, al sud, “20 miliardi su 40 al mezzogiorno”. Serviva finanziare opere senza piani attuativi, per sottolineare che si procede anche su interventi contestatissimi e ingiustificati, come il terzo valico ferroviario Milano-Genova (1,6 mld) – ce ne sono già due – oppure con il via libera a 10 convenzioni autostradali per (1,4 mld) di nuovi investimenti. Le convenzioni con lo Stato non servivano per far spendere gli extraprofitti dei concessionari, derivanti dai pedaggi, in nuove opere senza esborsi per lo Stato?
Se il pozzo senza fondo della statale ionica non è stato dimenticato (276 milioni), anche tutte le emergenze, messe drammaticamente in evidenza in questi giorni, sono state raccolte. La sicurezza della rete ferroviaria, dopo l’incidente di Corato, il dissesto idrogeologico, visti i continui allagamenti di questi giorni. Prendono fuoco gli autobus dell’Atac. Ed ecco un carico da 1 miliardo per il rinnovo del parco autobus nazionale. Nel mare magnum dei provvedimenti del Cipe tra addendum, contratti di programma, patti per il mezzogiorno, legge di Stabilità, lotti costruttivi e fondi di coesione recuperati, una cosa è certa: l’andazzo è quello di sempre, le risorse prima o poi arriveranno ma verranno spese molto male, non solo per i costi finali, sempre superiori a quelli previsti, ma per le probabili mazzette e per la scarsa redditività economica o sociale delle opere realizzate. Una nota positiva arriva dal fondo per le bonifiche dei siti inquinati (826 milioni).
Che si voglia continuare così allegramente è spiegato da una postilla contenuta nel decreto del Cipe che ha “dequalificato”, da delibera a semplice parere, l’addendum Stato Fs Rfi, cioè la già facile spesa ferroviaria, che per molti esperti è tra le cause del debito pubblico nazionale. Allo stesso modo saranno trattate o meglio non trattate le convenzioni autostradali. Se a qualcuno era passato per la testa di qualificare la spesa ferroviaria, limitando la sfera negoziale dei costruttori, o di alleggerire il peso delle lobby autostradali, riducendone le rendite di posizione, si è sbagliato. Metropolitane, ferrovie, strade, porti, tunnel e ponti: continua la logica dell’assalto alla diligenza continua.
Si continua nel far finta di non capire che il problema per il funzionamento della mobilità nazionale è la gestione efficiente delle infrastrutture non la loro carenza. Troppe di esse sono sotto e mal utilizzate, come la grande Malpensa, la Tav Milano-Torino o le due autostrade nuove di zecca  lombarde, la Brebemi e la Teem che, con i ricavi dei pedaggi, non si ripagano neppure i costi di gestione