mercoledì 12 ottobre 2016

In vista azione legale dell’Onlit per risarcimento ad aziende di trasporto e ad autotrasportatori L’Unione Europea ha accertato cartello di costruttori di autocarri che avevano aumentato i prezzi di listino fino al 20%


L’Osservatorio Trasporti (onlit@libero.it) mette a disposizione di imprese ed autotrasportatori i propri legali esperti di antitrust per sviluppare tutte le azioni  necessarie per il recupero del sovrapprezzo sui camioacquistati singolarmente o come impresa. Come è noto il  sovrapprezzo complessivo è stato causato dal cartello dei costruttori di camion e va tra il 10 e 20% in più  del prezzo di acquisto. Tutte le imprese che hanno acquistato dei camion di medie e/o grandi dimensioni nel periodo dal 1997 al 2011 potranno rivolgersi all’ONLIT per ottenere il risarcimento dei danni causati dal cartello. Il cartello è stato ammesso dai costruttori davanti alla Commissione europea che ha constatato l’esistenza di pratiche distorsive della concorrenza tra i costruttori di veicoli commerciali Paccar (DAF Trucks), Daimler, CNH Industrial (Iveco), MAN e Volvo (Renault Truck, Mack e UD Trucks), che hanno ammesso le loro responsabilità durante il procedimento davanti alla Commissione.
Le imprese e gli autotrasportatori danneggiati per l’acquisto di camion, anche in leasing, nel periodo che va dal 1997 al 2011, hanno la possibilità di chiedere il risarcimento del sovrapprezzo pagato. Siamo a disposizione per fornire ogni chiarimento utile.
Contattare: 
O.N.L.I.T. – V.le Caldara 9 20122 MILANO c/o Studio Associato Mele – tel.02-9004114 | 02-6596567 | cell.3356361874

martedì 27 settembre 2016

Ponte Stretto: Onlit, nessuna analisti ne giustifica utilità

Investimento inefficiente che produce alto debito
(ANSA) - MILANO, 27 SET - Nessuna analisi tecnico-economica giustifica la necessità del Ponte sullo Stretto di Messina, che rappresenta un "investimento inefficiente". Lo sostiene in una nota l’Osservatorio Nazionale sulle liberalizzazioni e sui Trasporti (Onlit), e seguito del rilancio del presidente del consiglio matteo renzi sull'opera. "Le risorse finanziarie destinate agli investimenti pubblici negli ultimi tre decenni - secondo l’Osservatorio - sono in linea con quelle degli altri principali paesi europei, e superiori alla media di Francia, Germania e Regno Unito". Quanto ai volumi di spesa, il confronto con le infrastrutture realizzate indica l’esistenza di "ampi margini di miglioramento nell’utilizzo delle risorse" e l'esempio più clamoroso è "il costo al km dell’Alta Velocità, triplo rispetto a quello di Spagna e Francia". "In assenza di una valutazione sistematica dei costi e dei benefici dei singoli progetti - viene sottolineato dall’Osservatorio - non c'è alcuna garanzia che quelli approvati siano la soluzione più efficiente e funzionale al conseguimento degli obiettivi di sviluppo e questo è il caso anche del Ponte sullo Stretto".
Secondo il presidente dell’Onlit Dario Balotta "la sfida italiana è quella di saper innalzare l’efficienza della spesa, migliorando le procedure che la governano, gli appalti e i controlli fuori dalle logiche campanilistiche o, peggio, clientelari". "Se un treno impiega tre ore da Messina a Palermo (232 km) e 4,30 minuti da Villa S.Giovanni a Salerno (400 km) - spiega Balotta - non è prioritario anzi è inutile fare il ponte sullo Stretto per ridurre di qualche decina di minuti la percorrenza verso la Calabria e il Continente". Pertanto "chiedere più flessibilità all’Europa per affrontare l’enorme spesa del ponte tra 5 e 8 miliardi - è la conclusione di Balotta - significa rimanere imprigionati in un alto debito generato, proprio dall’inefficienza degli investimenti, basti pensare ai tanti aeroporti, porti e autostrade sottoutilizzati a causa dell’assenza di rigorose analisi costi-benefici". (ANSA).

Ponte sullo Stretto, non è una priorità

Il ritardo infrastrutturale del Paese non deriva da una carenza di spesa come afferma il presidente del Consiglio. Le risorse finanziarie destinate agli investimenti pubblici negli ultimi tre decenni sono in linea con quelle degli altri principali paesi europei, superiori alla media di Francia, Germania e Regno Unito. Il confronto tra i volumi di spesa e le infrastrutture realizzate indica l’esistenza di ampi margini di miglioramento nell’utilizzo delle risorse, l’esempio più clamoroso è il costo al km dell’alta velocità (triplo rispetto a quello di Spagna e Francia).
In assenza di una valutazione sistematica dei costi e dei benefici dei singoli progetti non c’è alcuna garanzia che quelli approvati siano la soluzione più efficiente e funzionale al conseguimento degli obiettivi di sviluppo. Questo è il caso anche del ponte sullo Stretto. Nessuna analisi tecnico economica ne ha giustificato la necessità. La sfida italiana è quella di saper innalzare l’efficienza della spesa, migliorando le procedure che la governano, gli appalti e i controlli fuori dalle logiche campanilistiche o, peggio, clientelari.
Se un treno impiega tre ore da Messina a Palermo (232 km) e 4,30 minuti da Villa S.Giovanni a Salerno (400 km), non è prioritario anzi è inutile fare il ponte sullo stretto per ridurre di qualche decina di minuti la percorrenza verso la Calabria e il Continente. Chiedere più flessibilità all’Europa per affrontare l’enorme spesa del ponte tra 5 e 8 miliardi significa rimanere imprigionati in un alto debito generato proprio dall’inefficienza degli investimenti. Basti pensare ai tanti aeroporti, porti e autostrade sotto utilizzati a causa dell’ assenza di rigorose analisi costi-benefici.
Dario Balotta – Presidente Onlit

giovedì 22 settembre 2016

ONLIT, futuro nero per scali del Garda (Verona e Brescia)

Roma, 22 setembre 2016
Era scritto che, con la costituzione del polo aeroportuale del nord-est da parte di Save, sarebbe cresciuto l’appeal della stessa società presieduta da Enrico Marchi. L’aggregazione degli scali di Venezia,Treviso, Verona e Brescia è riuscita a stimolare il mercato. Per Marchi è stato un gioco da ragazzi: senza l’impegno di un piano industriale con il Catullo (che controlla anche lo scalo di Brescia), il successivo trasferimento dei voli dagli scali che si affacciano sul Garda a Venezia e con solo 24 milioni di euro ha acquisito il 40% del Catullo con patti parasociali che ne garantiscono ora il controllo. I veronesi hanno infine fatto karakiri non espletando la procedura di gara (obbligatoria in Europa) che avrebbe dato più valore agli asset venduti, asset costruiti con i soldi pubblici, e maggiori garanzie di sviluppo. Invece con il controllo di SAVE è cominciata la crisi:il traffico è calato, hanno perso il lavoro 140 addetti ed i debiti sono aumentati. Uno ad uno si stanno privatizzando gli scali italiani, fino a poco tempo fa gestiti dagli enti locali con le Camere di Commercio. Gestioni clientelari, con bilanci spesso in perdita e soprattutto da società prive di una qualsiasi strategia di sviluppo, rivolte solo al consenso. E’ grazie al “sacrificio” e alla svendita di ricchi scali come quelli del Garda, che le azioni di Save, che fino a 50 giorni fa costavano 13 euro, sono passate quasi a 17 con un rialzo del 30%. E cosi, dopo aver sussidiato per anni con risorse pubbliche, i due scali ed averne annunciato un grande sviluppo, i territori interessati si trovano ora in mano un pugno di mosche. Peggio del Catullo successo per gli scali scalo di Rimini e Forlì chiusi perchè sommersi dai debiti. Per i piccoli e medi scali si sta passando da gestioni politico-clientelari a gestioni finanziarie, senza che il Ministero dei Trasporti ed il Governo traccino almeno alcune linee guida per la privatizzazione garantendo la valorizzazione degli asset pubblici ed uno sviluppo degli scali adeguato al ricco mercato nazionale. 
Lo dichiara in una nota Dario Balotta, presidente ONLIT (Osservatorio Nazionale Liberalizzazioni Infrastrutture e Trasporti).

venerdì 16 settembre 2016

Ferrovie dello Stato gioca a Monopoli (ma con soldi veri)

Che le FS avessero una propensione particolare alla spesa (pubblica) era noto e per alcuni studiosi è tra le cause del debito pubblico nazionale (12,5%). Adesso però si sta esagerando. Le numerose e costose operazioni di acquisizione di aziende, che si stanno svolgendo in questi mesi, si profilano come salvataggi di aziende decotte o fallite. La società guidata da Renato Mazzonciniassicura (senza dirlo esplicitamente) che l’allargamento del perimetro di attività ferroviarie sia la soluzione dei problemi di FS. In realtà aumenta la sua posizione dominante e monopolista sul territorio italiano, grazie anche ad alcune acquisizioni all’estero dove si vende (Grecia) o dove si è liberalizzato davvero (Gran Bretagna e Germania). Tutto ciò sarebbe in linea con un piano industriale che non esiste. Dicono che verrà, solo presentato, nel mese in corso.
Oramai è un ricordo in Italia il dibattito animato dal governo Monti di liberalizzazione dei servizi pubblici, tra cui i trasporti su autobus e ferroviari, per incrementarne l’efficienza, ridurre i costi e incentivarne l’innovazione tecnica e gestionale. Ora si può fare tranquillamente il contrario. La liberalizzazione è, e resta in coda come priorità del governo.
Le FS ci fanno sapere che hanno battuto l’offerta dei russi (alzando l’esborso) per comprare le ferrovie elleniche. Il prezzo offerto è di 45 milioni. Si tratta di quella che in Italia si definirebbe una ferrovia secondaria. Dove c’è bisogno di molti investimenti, in particolare sulla tratta principale da Atene a Salonicco con una galleria da realizzare per il raddoppio della linea. Molte tratte sono da elettrificare e le linee del Peloponneso sono a scartamento ridotto. Le ferrovie austriache OBB (di un Paese con radicate relazioni con la Grecia) che avevano manifestato interesse all’avvio della privatizzazione del governo greco sono state chiare e decise alle avances ellenica. Prima la risanate, cioè pagate gli ammortizzatori sociali necessari, poi partecipiamo alla gara. In caso contrario la base d’asta sarebbe: “Quanto offrono i partecipanti alla vendita per aggiudicarsela”?
Due mesi fa le stesse FS hanno messo sul piatto 200 milioni per il salvataggio/acquisizione delle Ferrovie Sud Est di cui 70 milionigià stanziati in legge di Stabilità. Il governo ha deciso di non fare la gara per la vendita delle ferrovie pugliesi anche se alcune manifestazioni d’interesse erano state avanzate. Un’azienda, questa, gestita dal Ministero dei Trasporti affossata da 350 milioni di debiti con un valore stimato di 130 milioni ed un ruolo marginale nella mobilità locale, ma con ben 1300 dipendenti e con 1.400 contenziosi aperti tra il personale e l’azienda. Anziché gestire delicati conflitti sociali, come per tutte le aziende che falliscono, il governo ha preferito far intervenire la sua azienda pubblica comeammortizzatore sociale. In questo caso come in molti altri più con un ruolo sostitutivo dell’Inps che come quello di operatore ferroviario.
L’elenco delle acquisizioni è lungo. La scassata ma trafficatissimaRoma-Viterbo è già nella lista come all’orizzonte c’è l’Atac. Gli ammortizzatori sociali necessari per un simile risanamento non ci sono ed allora comprerà tutto Fsi (esuberi compresi). Il gruppo Fsi si è distinto in questi anni per essere il compratore (e salvatore) di aziende decotte quali l’Ataf di Firenze e Umbria Mobilità. Inoltre si è da poco concluso il trasferimento dell’infrastruttura umbra Fcu (ferrovia centrale umbra di 147 km di rete) ex ferrovia in concessione della Regione per allargare la propria posizione dominante su molte aree regionali. L’estensione della posizione di controllo sulla maggioranza delle regioni si è fatta largo con il matrimonio lombardo con le Ferrovie Nord e con l’ingresso in Tper, per la gestione delle ferrovie Emiliano-Romagnole. Le Fs sono sbarcate anche in Germania con Netinera per alcuni servizi regionali che ha dovuto lasciare Arriva (la società di Autobus comprata dalle ferrovie tedesche).
Renato Mazzoncini alla guida del Gruppo ferroviario ha dato slancio ad una politica aggressiva verso i mercati esteri (e pensare che c’era chi sperava venisse aggredito e rilanciato il trasporto pendolare e quello merci portandolo a standard europei di qualità e di efficienza). Servirebbe un bilancio sulla realizzazione e gestione della rete ad Alta Velocità anche alla luce dei risultati e dei cambi di rotta delle ferrovie europee che oramai puntano aquadruplicamenti veloci meno costosi, meno impattanti e che consentono un uso promiscuo (treni passeggeri e merci) e, quindi, maggiore della rete. Sarebbe urgente la revisione del progetto per laBrescia-Venezia, se non si vuole che faccia la fine della inutileTorino-Milano che ha una capacità di 300 treni veloci al giorno ma ne circolano solo 26, molti dei quali sono semivuoti. Vuoti perché, saltando Novara, Vercelli, Santhià e Chivasso, non c’è domanda di traffico. Serve una revisione del tracciato e l’abbassamento degli standard tecnici da AV a linea veloce sulla direttrice più ricca del Paese mentre le nostre ferrovie stanno preparando le offerte per partecipare alla gara per i servizi traLondra ed Edimburgo.
C’è di più. E’ allo studio la fusione tra FS e Anas, un altro campione nazionale di spesa pubblica inefficiente martoriato da scandali e mala gestione. Difficile che mettendo assieme due zoppi si smetta di zoppicare, anzi di solito si peggiora. E’ in questo quadro che si profilerebbe la privatizzazione (parziale) delle Ferrovie dello Stato Italiane. Come non suggerire prudenza negli annunci visto che l’andata in borsa di DB (ferrovie tedesche) è stata rinviata a data da definire. Il Gruppo (presentato) in “spolvero” è pronto ad aumentare la sua sfera d’influenza (che piace alla politica tradizionale) con i soldi pubblici dentro e fuori i confini nazionali. Normalmente chi vuol scendere in borsa cerca di presentarsi in forma per l’appuntamento. Con i salvataggi di Fse e quello imminente dell’Atac si punta più al consenso, accontentando parti sociali ed istituzioni locali, che approfittano della separazione (disconnessione) tra la proprietà (Ministero dell’Economia) e la struttura di vigilanza e pianificazione (Ministero delle Infrastrutture e Trasporti). Così non si fa strada verso il rilancio aziendale (meno costi più traffico).
Ecco che il gioco del Monopoli ferroviario continua (accelerando) le spese ma con i soldi veri.

domenica 28 agosto 2016

RYANAIR: LA TASSA CANCELLATA, 180 MILIONI PAGA IL GOVERNO


Ryanair vara un grande piano di sviluppo e crescita in Italia, ma si tratta davvero di investimenti “gratuiti” per le casse pubbliche del nostro Paese? La  decisione del governo Renzi di annullare l’incremento di € 2.50 della tassa municipale dal prossimo 1 settembre  e la modifica delle linee guida aeroportuali del Ministro Graziano Delrio sono certamente le due scelte che  hanno permesso di accelerare  i piani  di sviluppo di Ryanair per il mercato italiano nel 2017: ma hanno di fatto  spostato i costi dal mercato (i passeggeri)  allo Stato. La cancellazione dell’aumento della tassa, che torna a 6,5 euro a passeggero, sarà infatti coperta nella legge di Stabilità e costerà 180 milioni su base annua. Non solo: il previsto incremento di passeggeri derivante dall’apertura di 44 nuove rotte nazionali,  avrà un costo minimo di comarketing di 15 milioni annui  per le gestioni (pubbliche) degli aeroporti minori. Gli investimenti di Ryanair costeranno dunque alla mano pubblica 195 milioni l’anno.Dopo mezzo secolo di sovvenzioni ad Alitalia,  non si vorrebbe ora che il governo ricominciasse con nuovi surrettizi aiuti a  Ryanair. La compagnia irlandese  ha sempre fatto profitti e servizi di qualità sul mercato nazionale senza bisogno dell’intervento pubblico. Ora  non sembra proprio il caso di usare la foglia di fico  della crescita del turismo italiano per giustificare prassi anticompetitive e discriminatorie rispetto alle altre compagnie aeree che operano sul mercato nazionale.

Dario Balotta   
Presidente Osservatorio Nazionale Liberalizzazioni 
Infrastrutture e Trasporti

giovedì 11 agosto 2016

San Gottardo, gli svizzeri ci hanno dato l’ennesima lezione

La Svizzera inaugura oggi il più lungo tunnel ferroviario del mondo, il tunnel del Gottardo: 57 chilometri di galleria sotto le Alpi, destinati a incrementare e a rendere più fluido il traffico tra il Nord e il Sud Europa. Alla cerimonia di inaugurazione sono presenti, oltre alle autorità svizzere, anche il Presidente del Consiglio Matteo Renzi, il Presidente francese Francois Hollande e la Cancelliera tedesca Angela Merkel.
Per completare l’opera ingegneristica, che diventerà operativa in dicembre, sono stati necessari 17 anni di lavori e 12,2 miliardi di franchi svizzeri, pari a 11 miliardi di euro. Obiettivo principale dell’opera è rafforzare l’asse Nord-Sud Europa privilegiando il traffico ferroviario rispetto a quello stradale, nell’ambito del corridoio Reno-Alpi che collega Rotterdam (sul Mare del Nord) e ilNord Italia. Da questa opera ci vengono alcune importanti lezioni.
Primo. Il traforo ferroviario del Gottardo viene realizzato sull’asse ditraffico infraeuropeo maggiore e dove è previsto un nuovo incremento dei trasporti Nord-Sud Europa. L’Italia invece insiste con il traforo del Frejus e con quello del terzo valico Milano-Genova, dove le attuali linee ferroviarie sono tutt’altro che sature e i traffici (anche quelli passeggeri) sono in declino.
Secondo. La decisione di realizzare il traforo del Gottardo è stata presa a seguito di un referendum che ha coinvolto tutta la popolazione: una lezione di democrazia sul meccanismo politico di scelta per una grande opera.
Terzo. Il traforo del Gottardo rappresenta una scelta trasportisticasostenibile che guarda al futuro dell’ambiente. Inoltre è in linea con le indicazioni del “Libro bianco europeo dei trasporti”, disatteso da molti paesi tra cui l’Italia.
Quarto. Per finanziare l’opera è stato adottato un meccanismo responsabilizzante e innovativo (65% con un pedaggio/tassa sui Tir, 25% con l’ accisa sulla benzina e 10% Iva). Noi siamo fermi all’utilizzo del più congeniale debito pubblico o, peggio, ai “project financing” farlocchi, che sono una garanzia pubblica mascherata.
Quinto. Gli svizzeri ci hanno dato una lezione di bon tonNon solo hanno pagato l’infrastruttura in territorio svizzero, ma poiché sul versante italiano, allo sbocco del Gottardo, la nostra rete di collegamento con NovaraBusto Arsizio e Milano non è stata nel frattempo potenziata, sono piovuti 120 milioni di euro per adeguare le sagome dei treni, aumentarne il peso a 2000 tonnellate e la lunghezza a 750 metri. Insomma, un pezzo di rete italiana è stata migliorata con soldi svizzeri.
Con il traforo del S.Gottardo si potrebbe, finalmente, mettere la parola fine al declino del trasporto ferroviario merci nazionale, che ha alti costi di gestione, tempi di resa e qualità del servizio pessimi. Senza alcun dubbio, il traforo dev’essere uno stimolo per risollevare una volta per tutte la quota di trasporto merci su ferro, attestata su quel deludente 7%, che ci relega a fanalino di coda europeo tra le grandi nazioni.

Infrastrutture, dal Cipe i soliti investimenti a casaccio

Le “valanghe” di risorse deliberate dal Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica), 40 miliardi, hanno sempre caratteristiche, tali da rendere i pacchetti di spesa, approvati da quella foglia di fico governativa dei bicchieri “mezzi pieni” che si chiama Cipe. Sono deliberazioni d’urgenza, per affrontare i temi più scottanti sul tappeto, che vengono trattati con interventi spot e non con un ben precisato piano di priorità d’intervento. I meccanismi di spesa, sempre senza analisi costi-benefici, restano quelli di sempre che hanno reso inefficace, opaca e spesso improduttiva la spesa pubblica, in particolare per le grandi opere.
Dentro tali grandi pacchetti, oggi serviva dare un segnale e c’è stato, al sud, “20 miliardi su 40 al mezzogiorno”. Serviva finanziare opere senza piani attuativi, per sottolineare che si procede anche su interventi contestatissimi e ingiustificati, come il terzo valico ferroviario Milano-Genova (1,6 mld) – ce ne sono già due – oppure con il via libera a 10 convenzioni autostradali per (1,4 mld) di nuovi investimenti. Le convenzioni con lo Stato non servivano per far spendere gli extraprofitti dei concessionari, derivanti dai pedaggi, in nuove opere senza esborsi per lo Stato?
Se il pozzo senza fondo della statale ionica non è stato dimenticato (276 milioni), anche tutte le emergenze, messe drammaticamente in evidenza in questi giorni, sono state raccolte. La sicurezza della rete ferroviaria, dopo l’incidente di Corato, il dissesto idrogeologico, visti i continui allagamenti di questi giorni. Prendono fuoco gli autobus dell’Atac. Ed ecco un carico da 1 miliardo per il rinnovo del parco autobus nazionale. Nel mare magnum dei provvedimenti del Cipe tra addendum, contratti di programma, patti per il mezzogiorno, legge di Stabilità, lotti costruttivi e fondi di coesione recuperati, una cosa è certa: l’andazzo è quello di sempre, le risorse prima o poi arriveranno ma verranno spese molto male, non solo per i costi finali, sempre superiori a quelli previsti, ma per le probabili mazzette e per la scarsa redditività economica o sociale delle opere realizzate. Una nota positiva arriva dal fondo per le bonifiche dei siti inquinati (826 milioni).
Che si voglia continuare così allegramente è spiegato da una postilla contenuta nel decreto del Cipe che ha “dequalificato”, da delibera a semplice parere, l’addendum Stato Fs Rfi, cioè la già facile spesa ferroviaria, che per molti esperti è tra le cause del debito pubblico nazionale. Allo stesso modo saranno trattate o meglio non trattate le convenzioni autostradali. Se a qualcuno era passato per la testa di qualificare la spesa ferroviaria, limitando la sfera negoziale dei costruttori, o di alleggerire il peso delle lobby autostradali, riducendone le rendite di posizione, si è sbagliato. Metropolitane, ferrovie, strade, porti, tunnel e ponti: continua la logica dell’assalto alla diligenza continua.
Si continua nel far finta di non capire che il problema per il funzionamento della mobilità nazionale è la gestione efficiente delle infrastrutture non la loro carenza. Troppe di esse sono sotto e mal utilizzate, come la grande Malpensa, la Tav Milano-Torino o le due autostrade nuove di zecca  lombarde, la Brebemi e la Teem che, con i ricavi dei pedaggi, non si ripagano neppure i costi di gestione

martedì 7 giugno 2016

Torino-Lione: Balotta (Onlit), le priorità sono altre. Vendere Cargo FS e pensare al San Gottardo

– Milano, 7 GIU – “Avanti di questo passo il trasporto delle merci su ferrovia si estinguerà visto che dal 2008 al 2012 sono circolate il Italia il 40 per cento delle merci su ferro in meno e che la quota modale nazionale si avvicina oramai al 6 per cento mentre la media Europea è del 12 per cento”, dichiara in una nota il presidente di Onlit, Dario Balotta in merito al disegno di legge di ratifica del trattato Italia-Francia sulla Torino-Lione.
“Non  solo – prosegue Balotta – anche nei primi tre mesi del 2013 c’è stato un altro crollo del 10 per cento delle merci trasportate. Sarebbe molto meglio se il Governo i mettesse in fila le vere priorità del sistema ferroviario anziché attardarsi con progetti costosi e privi di ogni priorità funzionale compreso quello del terzo valico Milano-Genova. Anche nella migliore delle ipotesi di sviluppo, la tratta Torino Lione, già sovradimensionata, basta e avanza per gli attuali e i futuri (incertissimi) incrementi di traffico.
Peccato che il Ministro Maurizio Lupi non consideri che la prima cosa da fare è fermare il declino e rilanciare il trasporto merci ferroviario che è oramai alla canna del gas anche vendendo Cargo FS, costoso carrozzone utile solo ad impedire l’ingresso degli operatori privati. Gli effetti degli scali merci chiusi e venduti, i costi di gestione elevatissimi, la carenza di locomotori e di carri e  una  rete sempre più vincolata dal trasporto passeggeri sono stati nefasti”.
“L’imminente apertura del traforo del Gottardo è la vera priorità e opportunità italiana. Ma per questo – conclude Balotta – non siamo pronti perché la nostra rete di valico di Chiasso e di Luino  non è in grado di ricevere un treno merci in più. La priorità pertanto è quella di evitare che i Container che attraversano le alpi in treno vengano messe a terra (sui Tir) appena passato il confine congestionando ulteriormente la rete stradale ed inquinando il territorio. Chissà se di questo deludente quadro i ministri colleghi di Lupi ne sono a conoscenza”.

mercoledì 17 febbraio 2016

Autobrennero, Balotta (Onlit): La nuova concessione senza gara per A22 fa perdere alle province 238 milioni di euro

La concessione autostradale per la Modena-Brennero (A22) è scaduta il 30 aprile 2014. Da due anni AutoBrennero SpA opera senza concessione. Il Governo e il ministro Delrio vogliono prorogare la concessione per altri trent’anni senza indire una gara, in barba alla direttiva comunitaria, ma affidando direttamente a una nuova società in house, interamente a capitale pubblico, la gestione dei 314 km di asfalto.
Oggi Autobrennero SpA è controllata a maggioranza, con il 54% delle quote, dalle Provincia Autonoma di Trento e da quella di Bolzano. Ma anche Mantova, Verona, Modena e Reggio Emilia detengono quote per il 28,2%. Dal novembre del 2014 il Presidente della Provincia di Mantova, Alessandro Pastacci, ha ricevuto mandato dal proprio consiglio di dismettere la quota del 4,2%, stimata in un valore di mercato di 42 milioni di euro. Da un anno e mezzo questa liquidazione gli viene impedita, con tanto di ricorsi e controricorsi prima al Tar e poi al Consiglio di Stato.
Una situazione ridicola: le province, che dovevano essere abolite e che hanno già visto dimezzarsi le risorse economiche a loro disposizione, si vedono costrette a mantenere partecipazioni non strategiche in AutoBrennero, rinunciando a introiti per 238 milioni di euro che potrebbero servire a fare manutenzione sulle strade provinciali, nelle scuole o da investire in interventi di miglioramento sul territorio. Questo solo perché il Mit non vuole indire una gara pubblica per il rinnovo della concessione di A22 ma affidarla direttamente a un nuovo soggetto pubblico al 100%. A più di vent’anni da finte privatizzazioni a prezzi di saldo, oggi lo Stato che era uscito dalla porta delle autostrade rientra dalla finestra obbligando gli enti locali – anche quelli che devono scomparire – a tenersi un carrozzone per consolidare un monopolio autostradale che riduce l’efficienza a danno di utenti e ambiente.
Lo dichiara Dario Balotta, Presidente Osservatorio Nazionale Liberalizzazioni Infrastrutture e Trasporti

venerdì 15 gennaio 2016

Autobrennero SpA. Balotta, rinnovo concessione un tuffo nel passato

“Quello odierno è un tuffo nel passato. Lo Stato dopo aver venduto le autostrade pubbliche 20 anni fa ora incentiva le Regioni a ricomprarsele. Altro che traguardo storico dell’autonomia, con questa convenzione siamo di fronte al consolidamento di un monopolio autostradale ai danni degli utenti e dell’ambiente. Non si tratta di una innovazione ma di un mezzo surrettizio di aggiramento della gara per affidare una concessione”. Lo ha detto il Presidente dell’Osservatorio Trasporti Dario Balotta, commentando la firma del protocollo d’intesa che sancisce la proroga trentennale della concessione della A22 alla futura società in-house Autobrennero SpA.
E conclude Balotta: “Quello che lo Stato centralista ha buttato dalla finestra ora rientra dalla porta federalista scambiando la realizzazione della inutile Valdastico con il rinnovo della concessione.” 

domenica 10 gennaio 2016

Autostrade: Balotta (Onlit) a Lupi, rivedere profondamente meccanismo formazione pedaggi


– Roma, 10 GEN – “Non bastano gli sconti ai pendolari, il Ministero dei Trasporti, per frenare l’assurda politica tariffaria dettata dai concessionari e recuperare il ruolo che  ha perso di soggetto che detta le regole e vigila nel settore dovrebbe agire sui meccanismi tariffari verificando, in primo luogo, l’opportunità e la necessità di molti degli investimenti pagati con gli aumenti dei pedaggi”.
Lo sostiene in una nota Dario Balotta, presidente di Onlit.
“Questa – dice Balotta – è la prima azione che il Governo può fare per tutelare automobilisti, autotrasportatori, imprese e l’economia del Paese in una fase di gravissima crisi. Da anni i 23 concessionari possono contare su  extraprofitti derivanti da pedaggi  che crescono molto più dell’inflazione, da convenzioni con l’Anas (manutenzioni, mitigazioni ambientali, potenziamenti e messa in sicurezza della rete) in perenne rinvio e dal dimezzamento degli addetti.
Intanto molti investimenti andrebbero eliminati in quanto opere non prioritarie come i nuovi interventi infrastrutturali (autostrade) utili solo ad evitare la messa in gara delle concessioni scadute o in via di scadenza.
I gestori autostradali fino ad ora senza capitale di rischio hanno potuto fare opere che non hanno un traffico che le giustifica. Fino ad oggi nessuna concessione scaduta è stata messa in gara come da normativa Europea.
L’estensione del  “Family pass” e o del Car-Pooling come quello sulla A8 Milano Varese sono  interventi di razionalizzazione che dovrebbero già essere in convenzione.
L’Anas, avvallata da qualche Ministro distratto, ha approvato meccanismi che fanno pagare le nuove autostrade o le nuove corsie due volte agli automobilisti, prima di costruirle con i pedaggi sulla vecchia rete e dopo con i pedaggi sulla nuova.
I nuovi investimenti dovrebbero finanziarsi con l’aumento del traffico che generano e non con aumenti tariffari.
Questa struttura tariffaria  va cancellata anche in presenza di  un “contesto giuridico molto vincolante” come dice il Ministro che purtroppo tutela i concessionari e non gli interessi comuni”.

venerdì 1 gennaio 2016

AUTOSTRADE: DA GENNAIO AUMENTI DELL’1% DEI PEDAGGI ONLIT, MECCANISMO DI CALCOLO GENERA TARIFFE DA RAPINA

RADDOPPIATO IL CANONE DEL TELEPASS NUOVE AUTOSTRADE LOMBARDE SEMPRE PIU’ IN CRISI
Milano, 1 gennaio 2016
Va cambiato il meccanismo di calcolo, da rapina, delle tariffe autostradali che hanno permesso anche quest’anno aumenti doppi rispetto al tasso d’inflazione. Ad oltre metà della rete sono stati autorizzati aumenti del pedaggio dell’1%, per ora solo sospesi al resto della rete. Su tutte le autostrade scatterà un aumento del telepass, usato dal 65% degli utenti, che raddoppierà il suo canone mensile da 0,7 a 1,5 euro. Nonostante i gestori autostradali abbiano ridotto i costi di gestione con l’automatizzazione, la riduzione dell’occupazione e della sicurezza, continuano a vedersi, autorizzati dal Governo, aumenti di tariffe del tutto ingiustificati. La rete autostradale è la più vecchia d’Europa e già abbondantemente ammortizzata, i traffici sono in ripresa e sono stati sempre in crescita nel passato trentennio, esclusi gli ultimi due anni. I 23 concessionari continuano a realizzare extra-profitti, senza avere vincoli di tutela dell’ambiente e di miglioramento del servizio. Sulla carta sono stati promessi tanti investimenti per giustificare gli aumenti tariffari e il rinnovo delle concessioni senza gara. I gestori hanno imposto al Governo la logica della rendita di posizione monopolista in contrasto con gli interessi generali di sviluppo, con la tutela dei consumatori e le norme europee. Discorso diverso per le nuove, inutili e semivuote autostrade della Lombardia che, nonostante abbiano tariffe fuori mercato (doppie della media nazionale), hanno anche loro aumentato il pedaggio, Pedemontana (+1%) e Tem (+2%). Se per le vecchie concessionarie sono gli utenti ad essere “tosati” da tariffe sempre in aumento, per le nuove tratte il sistema è anche peggiore, perché “tosa” gli utenti a un livello tale, da tenerli lontani dalle autostrade, così da renderle inutili. Per le nuove tratte, i conti non tornano ed è lo Stato a coprirne i “buchi”. La proroga dello sconto del 15% per i pendolari di Tem e Brebemi e per chi percorre interamente le due autostrade è un pannicello caldo, visto le sue caratteristiche di traffico residenziale. Discorso a parte per Pedemontana, che le amministrazioni locali di Como e Varese vorrebbero usare gratis. Insomma le nuove costosissime autostrade non si ripagano perché vuote, quelle vecchie , già ampiamente pagate, fanno extraprofitti. Un paradosso a cui dovrebbe mettere ordine l’Autorità di Regolazione dei Trasporti.