martedì 27 settembre 2016

Ponte Stretto: Onlit, nessuna analisti ne giustifica utilità

Investimento inefficiente che produce alto debito
(ANSA) - MILANO, 27 SET - Nessuna analisi tecnico-economica giustifica la necessità del Ponte sullo Stretto di Messina, che rappresenta un "investimento inefficiente". Lo sostiene in una nota l’Osservatorio Nazionale sulle liberalizzazioni e sui Trasporti (Onlit), e seguito del rilancio del presidente del consiglio matteo renzi sull'opera. "Le risorse finanziarie destinate agli investimenti pubblici negli ultimi tre decenni - secondo l’Osservatorio - sono in linea con quelle degli altri principali paesi europei, e superiori alla media di Francia, Germania e Regno Unito". Quanto ai volumi di spesa, il confronto con le infrastrutture realizzate indica l’esistenza di "ampi margini di miglioramento nell’utilizzo delle risorse" e l'esempio più clamoroso è "il costo al km dell’Alta Velocità, triplo rispetto a quello di Spagna e Francia". "In assenza di una valutazione sistematica dei costi e dei benefici dei singoli progetti - viene sottolineato dall’Osservatorio - non c'è alcuna garanzia che quelli approvati siano la soluzione più efficiente e funzionale al conseguimento degli obiettivi di sviluppo e questo è il caso anche del Ponte sullo Stretto".
Secondo il presidente dell’Onlit Dario Balotta "la sfida italiana è quella di saper innalzare l’efficienza della spesa, migliorando le procedure che la governano, gli appalti e i controlli fuori dalle logiche campanilistiche o, peggio, clientelari". "Se un treno impiega tre ore da Messina a Palermo (232 km) e 4,30 minuti da Villa S.Giovanni a Salerno (400 km) - spiega Balotta - non è prioritario anzi è inutile fare il ponte sullo Stretto per ridurre di qualche decina di minuti la percorrenza verso la Calabria e il Continente". Pertanto "chiedere più flessibilità all’Europa per affrontare l’enorme spesa del ponte tra 5 e 8 miliardi - è la conclusione di Balotta - significa rimanere imprigionati in un alto debito generato, proprio dall’inefficienza degli investimenti, basti pensare ai tanti aeroporti, porti e autostrade sottoutilizzati a causa dell’assenza di rigorose analisi costi-benefici". (ANSA).

Ponte sullo Stretto, non è una priorità

Il ritardo infrastrutturale del Paese non deriva da una carenza di spesa come afferma il presidente del Consiglio. Le risorse finanziarie destinate agli investimenti pubblici negli ultimi tre decenni sono in linea con quelle degli altri principali paesi europei, superiori alla media di Francia, Germania e Regno Unito. Il confronto tra i volumi di spesa e le infrastrutture realizzate indica l’esistenza di ampi margini di miglioramento nell’utilizzo delle risorse, l’esempio più clamoroso è il costo al km dell’alta velocità (triplo rispetto a quello di Spagna e Francia).
In assenza di una valutazione sistematica dei costi e dei benefici dei singoli progetti non c’è alcuna garanzia che quelli approvati siano la soluzione più efficiente e funzionale al conseguimento degli obiettivi di sviluppo. Questo è il caso anche del ponte sullo Stretto. Nessuna analisi tecnico economica ne ha giustificato la necessità. La sfida italiana è quella di saper innalzare l’efficienza della spesa, migliorando le procedure che la governano, gli appalti e i controlli fuori dalle logiche campanilistiche o, peggio, clientelari.
Se un treno impiega tre ore da Messina a Palermo (232 km) e 4,30 minuti da Villa S.Giovanni a Salerno (400 km), non è prioritario anzi è inutile fare il ponte sullo stretto per ridurre di qualche decina di minuti la percorrenza verso la Calabria e il Continente. Chiedere più flessibilità all’Europa per affrontare l’enorme spesa del ponte tra 5 e 8 miliardi significa rimanere imprigionati in un alto debito generato proprio dall’inefficienza degli investimenti. Basti pensare ai tanti aeroporti, porti e autostrade sotto utilizzati a causa dell’ assenza di rigorose analisi costi-benefici.
Dario Balotta – Presidente Onlit

giovedì 22 settembre 2016

ONLIT, futuro nero per scali del Garda (Verona e Brescia)

Roma, 22 setembre 2016
Era scritto che, con la costituzione del polo aeroportuale del nord-est da parte di Save, sarebbe cresciuto l’appeal della stessa società presieduta da Enrico Marchi. L’aggregazione degli scali di Venezia,Treviso, Verona e Brescia è riuscita a stimolare il mercato. Per Marchi è stato un gioco da ragazzi: senza l’impegno di un piano industriale con il Catullo (che controlla anche lo scalo di Brescia), il successivo trasferimento dei voli dagli scali che si affacciano sul Garda a Venezia e con solo 24 milioni di euro ha acquisito il 40% del Catullo con patti parasociali che ne garantiscono ora il controllo. I veronesi hanno infine fatto karakiri non espletando la procedura di gara (obbligatoria in Europa) che avrebbe dato più valore agli asset venduti, asset costruiti con i soldi pubblici, e maggiori garanzie di sviluppo. Invece con il controllo di SAVE è cominciata la crisi:il traffico è calato, hanno perso il lavoro 140 addetti ed i debiti sono aumentati. Uno ad uno si stanno privatizzando gli scali italiani, fino a poco tempo fa gestiti dagli enti locali con le Camere di Commercio. Gestioni clientelari, con bilanci spesso in perdita e soprattutto da società prive di una qualsiasi strategia di sviluppo, rivolte solo al consenso. E’ grazie al “sacrificio” e alla svendita di ricchi scali come quelli del Garda, che le azioni di Save, che fino a 50 giorni fa costavano 13 euro, sono passate quasi a 17 con un rialzo del 30%. E cosi, dopo aver sussidiato per anni con risorse pubbliche, i due scali ed averne annunciato un grande sviluppo, i territori interessati si trovano ora in mano un pugno di mosche. Peggio del Catullo successo per gli scali scalo di Rimini e Forlì chiusi perchè sommersi dai debiti. Per i piccoli e medi scali si sta passando da gestioni politico-clientelari a gestioni finanziarie, senza che il Ministero dei Trasporti ed il Governo traccino almeno alcune linee guida per la privatizzazione garantendo la valorizzazione degli asset pubblici ed uno sviluppo degli scali adeguato al ricco mercato nazionale. 
Lo dichiara in una nota Dario Balotta, presidente ONLIT (Osservatorio Nazionale Liberalizzazioni Infrastrutture e Trasporti).

venerdì 16 settembre 2016

Ferrovie dello Stato gioca a Monopoli (ma con soldi veri)

Che le FS avessero una propensione particolare alla spesa (pubblica) era noto e per alcuni studiosi è tra le cause del debito pubblico nazionale (12,5%). Adesso però si sta esagerando. Le numerose e costose operazioni di acquisizione di aziende, che si stanno svolgendo in questi mesi, si profilano come salvataggi di aziende decotte o fallite. La società guidata da Renato Mazzonciniassicura (senza dirlo esplicitamente) che l’allargamento del perimetro di attività ferroviarie sia la soluzione dei problemi di FS. In realtà aumenta la sua posizione dominante e monopolista sul territorio italiano, grazie anche ad alcune acquisizioni all’estero dove si vende (Grecia) o dove si è liberalizzato davvero (Gran Bretagna e Germania). Tutto ciò sarebbe in linea con un piano industriale che non esiste. Dicono che verrà, solo presentato, nel mese in corso.
Oramai è un ricordo in Italia il dibattito animato dal governo Monti di liberalizzazione dei servizi pubblici, tra cui i trasporti su autobus e ferroviari, per incrementarne l’efficienza, ridurre i costi e incentivarne l’innovazione tecnica e gestionale. Ora si può fare tranquillamente il contrario. La liberalizzazione è, e resta in coda come priorità del governo.
Le FS ci fanno sapere che hanno battuto l’offerta dei russi (alzando l’esborso) per comprare le ferrovie elleniche. Il prezzo offerto è di 45 milioni. Si tratta di quella che in Italia si definirebbe una ferrovia secondaria. Dove c’è bisogno di molti investimenti, in particolare sulla tratta principale da Atene a Salonicco con una galleria da realizzare per il raddoppio della linea. Molte tratte sono da elettrificare e le linee del Peloponneso sono a scartamento ridotto. Le ferrovie austriache OBB (di un Paese con radicate relazioni con la Grecia) che avevano manifestato interesse all’avvio della privatizzazione del governo greco sono state chiare e decise alle avances ellenica. Prima la risanate, cioè pagate gli ammortizzatori sociali necessari, poi partecipiamo alla gara. In caso contrario la base d’asta sarebbe: “Quanto offrono i partecipanti alla vendita per aggiudicarsela”?
Due mesi fa le stesse FS hanno messo sul piatto 200 milioni per il salvataggio/acquisizione delle Ferrovie Sud Est di cui 70 milionigià stanziati in legge di Stabilità. Il governo ha deciso di non fare la gara per la vendita delle ferrovie pugliesi anche se alcune manifestazioni d’interesse erano state avanzate. Un’azienda, questa, gestita dal Ministero dei Trasporti affossata da 350 milioni di debiti con un valore stimato di 130 milioni ed un ruolo marginale nella mobilità locale, ma con ben 1300 dipendenti e con 1.400 contenziosi aperti tra il personale e l’azienda. Anziché gestire delicati conflitti sociali, come per tutte le aziende che falliscono, il governo ha preferito far intervenire la sua azienda pubblica comeammortizzatore sociale. In questo caso come in molti altri più con un ruolo sostitutivo dell’Inps che come quello di operatore ferroviario.
L’elenco delle acquisizioni è lungo. La scassata ma trafficatissimaRoma-Viterbo è già nella lista come all’orizzonte c’è l’Atac. Gli ammortizzatori sociali necessari per un simile risanamento non ci sono ed allora comprerà tutto Fsi (esuberi compresi). Il gruppo Fsi si è distinto in questi anni per essere il compratore (e salvatore) di aziende decotte quali l’Ataf di Firenze e Umbria Mobilità. Inoltre si è da poco concluso il trasferimento dell’infrastruttura umbra Fcu (ferrovia centrale umbra di 147 km di rete) ex ferrovia in concessione della Regione per allargare la propria posizione dominante su molte aree regionali. L’estensione della posizione di controllo sulla maggioranza delle regioni si è fatta largo con il matrimonio lombardo con le Ferrovie Nord e con l’ingresso in Tper, per la gestione delle ferrovie Emiliano-Romagnole. Le Fs sono sbarcate anche in Germania con Netinera per alcuni servizi regionali che ha dovuto lasciare Arriva (la società di Autobus comprata dalle ferrovie tedesche).
Renato Mazzoncini alla guida del Gruppo ferroviario ha dato slancio ad una politica aggressiva verso i mercati esteri (e pensare che c’era chi sperava venisse aggredito e rilanciato il trasporto pendolare e quello merci portandolo a standard europei di qualità e di efficienza). Servirebbe un bilancio sulla realizzazione e gestione della rete ad Alta Velocità anche alla luce dei risultati e dei cambi di rotta delle ferrovie europee che oramai puntano aquadruplicamenti veloci meno costosi, meno impattanti e che consentono un uso promiscuo (treni passeggeri e merci) e, quindi, maggiore della rete. Sarebbe urgente la revisione del progetto per laBrescia-Venezia, se non si vuole che faccia la fine della inutileTorino-Milano che ha una capacità di 300 treni veloci al giorno ma ne circolano solo 26, molti dei quali sono semivuoti. Vuoti perché, saltando Novara, Vercelli, Santhià e Chivasso, non c’è domanda di traffico. Serve una revisione del tracciato e l’abbassamento degli standard tecnici da AV a linea veloce sulla direttrice più ricca del Paese mentre le nostre ferrovie stanno preparando le offerte per partecipare alla gara per i servizi traLondra ed Edimburgo.
C’è di più. E’ allo studio la fusione tra FS e Anas, un altro campione nazionale di spesa pubblica inefficiente martoriato da scandali e mala gestione. Difficile che mettendo assieme due zoppi si smetta di zoppicare, anzi di solito si peggiora. E’ in questo quadro che si profilerebbe la privatizzazione (parziale) delle Ferrovie dello Stato Italiane. Come non suggerire prudenza negli annunci visto che l’andata in borsa di DB (ferrovie tedesche) è stata rinviata a data da definire. Il Gruppo (presentato) in “spolvero” è pronto ad aumentare la sua sfera d’influenza (che piace alla politica tradizionale) con i soldi pubblici dentro e fuori i confini nazionali. Normalmente chi vuol scendere in borsa cerca di presentarsi in forma per l’appuntamento. Con i salvataggi di Fse e quello imminente dell’Atac si punta più al consenso, accontentando parti sociali ed istituzioni locali, che approfittano della separazione (disconnessione) tra la proprietà (Ministero dell’Economia) e la struttura di vigilanza e pianificazione (Ministero delle Infrastrutture e Trasporti). Così non si fa strada verso il rilancio aziendale (meno costi più traffico).
Ecco che il gioco del Monopoli ferroviario continua (accelerando) le spese ma con i soldi veri.